BARBIE, VIRGINIA WOOLF, ALBA DE CESPEDES E JUNG
Sep 12, 2023Cosa c’entrano Virginia Woolf, Alba De Cespedes e pure Jung, con Barbie?
Il rapporto tra Sasha, la figlia adolescente, e la madre, Gloria (America Ferrera), è il tipico rapporto che si sviluppa tra madre e figlia nel momento in cui le figlie passano dall’età infantile – quando giocano a Barbie- alle trasformazioni dell’adolescenza. In quella fase che gli psicanalisti junghiani chiamano “liberazione dalle immagini parentali del mondo infantile”. Ovvero quella fase della vita in cui si inizia a combattere per affermare la propria autonomia, ricercando propria identità che deve rendersi indipendente da quella dei genitori e dall’immagine che i genitori hanno trasferito sui loro figli.
È una ricerca che inizia nell’adolescenza e che può durare anche tutta la vita. Per alcuni – e sono certa che anche voi ne conosciate tanti- può non finire mai. Sdoganarsi e rendersi autonomi dai propri genitori affermando la propria identità (che va ricercata, conosciuta, approfondita e inseguita) è un processo difficile e combattuto. Come dicevano i miei amati esistenzialisti, è molto più facile dire “ok, io mi arrendo, faccio quello che dicono gli altri così sono più tranquillo” condannandosi però all’impossibilità- dicevano loro- di essere liberi- e dunque felici- per davvero.
È la fase della vita che vivono le pazienti raccontate da Mary Pipher in Reviving Ophelia, il libro bestseller degli anni ’90 che ha ispirato Greta Gerwig, che sono ragazzine che dopo un’infanzia felice e serena, arrivata l’adolescenza, diventano problematiche. Alcune di loro soffrono di attacchi di ansia, di fenomeni psicosomatici, perdono la sicurezza in loro stesse.
Come mai? La tesi di Mary Pipher è perché si scontrano in quella fase della vita con le pressioni sociali (tutti quei temi che America Ferrera tocca nel suo monologo: essere belle ma non troppo, intelligenti ma quanto basta, non dare fastidio, voler far carriera ma anche desiderare ardentemente una famiglia, essere buone madri ma non troppo presenti, essere brave professioniste ma non troppo ossessionate dal lavoro etc etc). Pressioni sociali che identificano come realizzate, per lo più, nel grande nemico: la madre.
IO NON DIVENTERO’ MAI COME TE!
La Sasha del film vede in sua madre una donna che ha ceduto alle pressioni sociali, che si è arresa, che rappresenta tutto ciò che lei non vorrà mai diventare: una brava moglie, madre, lavoratrice che cerca di barcamenarsi al meglio che può in una società che non fa nulla per aiutare le donne, in cui il patriarcato non è morto, semplicemente si nasconde meglio.
E cosa succede in questa fase? Succede, lo diceva Jung, che si rifiuta la madre. Si rifiuta il femminile dentro di sé.
Nei sogni, tutto ciò che è materno viene rappresentato come orrido, spaventoso, da rifiutare e rinnegare per compiere l’unico viaggio che abbia senso compiere: quello di diventare se stesse.
E in quel se stesse non è previsto nulla che abbia a che fare con quello che si aborre: il materno, la cura, il femminile inteso in senso archetipico.
Un viaggio che ha compiuto anche Virginia Woolf che raccontava nei suoi diari quanto avesse per molto tempo rifiutato l’idea di sua madre, Julia Jackson una donna che ha vissuto per la famiglia e che si è fatta consumare dalla cura dei suoi sette figli.
NON SARO’ MAI COME MIA MADRE
E ha passato la vita a scrivere e domandarsi perché per le donne certe cose sono precluse e per i maschi no, se esistono differenze sostanziali o è solo una questione culturale, cosa siano i maschi e le femmine, se i generi davvero esistano eccetera eccetera.
Alba De Cespedes in Quaderno Proibito, la nostra ultima challenge, pone il rapporto madre- figlia al centro della crisi esistenziale della sua Valeria, una donna di quarant’anni con figli più che ventenni (siamo nel 1942), con un marito che la chiama mammà, un figlio che la idolatra come simbolo di femminilità perfetta (una donna senza ambizioni se non fare la donna di casa che va a lavorare solo perché serve alla famiglia) e una figlia che invece si ribella. E si ribella con quella rabbia che è propria solo dei grandi amori. Si fidanza con un uomo già sposato, studia, progetta di andare a vivere lontano, di divertirsi (cosa che in quegli anni per le donne era vista come peccato, il diritto al divertimento femminile è stata una straordinaria conquista), di realizzare se stessa non solo come ingranaggio di una famiglia.
Ma è quando le figlie riconoscono le madri e le madri riconoscono le figlie che tutto si dispiega.
È quando Sasha canta con Gloria una canzone anni Novanta e la riconosce nelle sue frustrazioni e i i suoi desideri nel suo monologo, che capisce che, anche se non sembra, anche se non se lo aspettava, anche se non è possibile che MIA MADRE SIA COME ME, stanno compiendo la stessa battaglia.
È quando Valeria in Quaderno Proibito comprende che la sua presa di coscienza passa anche dalla ribellione della figlia. È in quel momento che inizia a cambiare per davvero, ad accettarsi per quello è e non quello che dovrebbe essere e si rende conto che, se lei non ne ha di forze per combattere, per fortuna c’è sua figlia.
Lo farà lei per entrambe e per le donne che le hanno precedute.
E infine, la soluzione più profonda e che mi fa riempire di lacrime la offre sempre Virginia quando a più di quarant’anni scrive Al faro, lo dedica a sua madre (che era morta quando lei ne aveva 14) la fa rivivere nelle pagine e alla fine, quando tutto sembrava perduto e il distacco definitivo, la ricostruisce in un ritratto fatto di immagini e parole. Le immagini sono quelle di Lily Briscoe, la sua alter ego nel romanzo, che è una pittrice che di figli non ne ha avuti, ma che è sempre stata affascinata dalla signora Ramsay (il personaggio in cui Virginia fa rivivere la figura materna) e le dona nuova vita, nuovi colori, un nuovo senso. Che passa attraverso gli occhi della figlia già adulta.
Che è come se le dicesse: mamma, io sono come te.
E tutta quella cura che tu mettevi nell’accudire noi, io la metto nei miei romanzi.
Lo accetto, è parte di me e non mi fa più paura.