PERCHE' LEGGERE LEZIONI DI IAN MCEWAN
May 05, 2023Ho finito di leggere quella meraviglia che è Lezioni di Ian McEwan.
Io amo Ian McEwan, è tra gli scrittori inglesi che maggiormente hanno contribuito alla mia dipendenza dalle pagine.
Quando- spesso- mi chiedete “quali sono i tuoi libri preferiti”?
Non lo dico quasi mai, invece dovrei dire Espiazione un romanzo che è uscito nel 2002 e io ero all’ultimo anno di liceo e ricordo, come se fosse ieri, la sua copertina bianca Einaudi che mi chiamava dalla libreria dei miei genitori. E ricordo come se fosse ieri un pomeriggio in cui ero distrutta dall’ansia per le interrogazioni e le versioni di greco che mi sono chiusa nello studio e ho iniziato a leggerlo senza riuscire a staccarmi da quelle pagine così piene di vita, amore, violenza, sensi di colpa, Storia che entra nelle storie dei protagonisti.
Mi sono detta “questo è un romanzo”. Non so dirvi in cosa esattamente mi abbia cambiata, ma lo ha fatto, lavorando dentro di me anche quando, nel tempo, i contorni della trama sono svaniti, mi sono dimenticata i nomi dei personaggi e le loro dinamiche, ma quella vita che acquisisce corpo, dolore e passione nella finzione è diventata parte del mio bagaglio di vissuti.
Vi dico questo perché McEwan in Lezioni scrive un romanzo magnifico che parla di tante cose e tra le tante cose parla anche del senso della letteratura. Del suo entrare e tradire la vita per chi la scrive, ma anche della possibilità di trasformarla in chi la legge.
Il romanzo inizia negli anni ’80 quando Roland Baines e il suo bimbo di sette mesi vengono abbandonati dalla moglie Alissa.
“Non mi cercare. Sto bene. Non è colpa tua. Ti amo ma non intendo tornare. Ho vissuto una vita che non era la mia. Ti prego, cerca di perdonarmi”
Scrive lei su un biglietto.
In effetti lei non tornerà, lasciando Roland con un fardello di punti di domanda e un bimbo da accudire da solo, con pochi soldi e una professione claudicante (è un giornalista freelance che sogna di fare il poeta) a Londra.
La trama poi si trasforma in una lunga analisi di Roland… chi è quest’uomo? Perché è finito così in un letto da solo abbandonato dalla madre di suo figlio? Chi erano i suoi genitori? Perché la madre, a sua volta, lo aveva abbandonato da bambino? Che ruolo ha avuto nella sua crescita Miss Cornell la sua insegnante di pianoforte che segnato una linea indelebile nella sua crescita?
Lui che era così talentuoso a suonare, perché ha deciso di smettere di botto? Cosa è successo davvero a casa di questa insegnante che all’epoca, negli anni Sessanta, non si poteva raccontare?
E poi la storia si sposta e mescola su Alissa. Anche lei deve fare i conti con il passato. Con l’eredità di una madre che sognava di diventare una grande scrittrice e si è ritrovata a fare la casalinga nella provincia tedesca.
Che cosa è successo? Perché le donne devono scegliere tra maternità e arte? Tra bambini e lavoro? Tra ambizione e famiglia?
Quali saranno gli effetti di questi abbandoni e di questi buchi nella vita di Lawrence, il figlio di Roland e Alissa, il bimbo abbandonato dalla madre ma amatissimo dal padre.
Come si fa a dire di inseguire la felicità – e se stessi- abbandonando ciò che, si dice, sia più caro al mondo… ovvero un figlio?
Queste sono tutte le domande che affronta il romanzo, che, come potete capire, si riassumono in una sola: cos’è la felicità?
Perché la resa dei conti avviene- senza spoilerare- anni dopo quando il tempo è passato, è caduto il muro di Berlino, sono passati gli anni ’90, i sogni si sono trasformati in rimpianti, l’assenza in abitudine.
Alissa se n’era andata per diventare una grande scrittrice, e ci è riuscita, ma vive sola e mal ridotta. Roland è rimasto e non ha combinato un granché ma si ritrova travolto dall’affetto di figli, nipoti, figli acquisiti.
Deve esserci per forza una scelta necessaria? Non è possibile avere entrambe le cose?
Roland ha tradito tutti i suoi talenti, non è riuscito a realizzare nemmeno uno dei suoi sogni e delle sue aspirazioni, ma nella vecchiaia vive in pace.
Anche Alissa in fondo vive in pace, avendo ottenuto quello che voleva- romanzi, successo, il riconoscimento mondiale, una candidatura al Nobel- ma gli occhi che la guardano sono quelli di Roland, un uomo che ha messo l’amore prima di tutto. DI certo prima di se stesso.
Esiste un giudice che stabilisce qual è la vita migliore?
Di certo un giudice è un lettore che insegue le pagine di Lezioni cercando di carpire sensi.
Perché le “lezioni” di cui parla McEwan sono le lezioni di piano che prendeva Roland da bambino, sono lezioni di scrittura (c’è una parte meravigliosa sul rapporto tra finzione e vita, e di come scrittori che fanno scelte deprecabili nella realtà scrivano cose meravigliose) ma soprattutto lezioni “di vita”.
Una volta un bravo scrittore mi ha detto “scrivere la biografia di qualcuno significa raccontare come ha cercato di essere felice”.
E tu come lettore insegui le vite di Roland, Alissa, i loro genitori, Lawrence e cerchi di capire cosa sia la felicità. Se tu ci stai provando a metterla in pratica. O per lo meno a inseguirla.
Come se la felicità fosse qualcosa di dovuto, di necessario. Di scritto su un manuale.
Senza tenere conto che le felicità sono molteplici, come molteplici le vite e le storie.
E ora che ci penso la “lezione” più grande la dà proprio Lawrence, il figlio abbandonato.
Che alla fine – lo so, vi ho detto troppo del romanzo, ma leggetelo lo stesso- da una risposta alla madre – e questa, no, non ve la dico, dovete leggere il romanzo- che ci fa capire che non è una quesitone di “perdono” come spiega nel suo libro Ameya Canovi, Di troppa (o poca) famiglia, ma di accettare quello che è stato, mettere un punto e andare avanti.
Accogliendo il bene ma anche il male, perché la vita è fatta di gioia, ma anche di dolore, di persone che ci sono e altre che se ne vanno e noi stiamo lì a mettere insieme i cocci nella maniera per noi migliore possibile.
Un po’ come Nanni Moretti che nel suo Il sol dell’avvenire, che sembra parlare d’altro ma in realtà parla d’amore, di cinema e di scelte, quando dice nel finale “la storia non è fatta con i se… ma chi l’ha detto? Io voglio farla proprio con i se”.
Proviamo a mettere in fila i se delle nostre esistenze, vediamo un po’ l’effetto che fa.
Magari ci rendiamo conto che no… non ci è andata così male.