PRENDI LA MIA MANO
Oct 23, 2023Il tema che affronta è stravolgente e terribilmente attuale: la sterilizzazione di centinaia di migliaia di ragazzine di colore povere negli Stati Uniti degli anni Settanta.
Dolen Perkins Valdez lo affronta attraverso la storia di finzione, che però affonda la sua ispirazione in una storia vera.
Negli anni ’70 l’avvocato di Montgomery Joseph Levin denuncia l’operato di una serie di consultori americani che applicavano una sperimentazione medica non sicura e non sufficientemente testata per sterilizzare delle ragazze (in alcuni casi molto giovani) che avevano come unica colpa quello di essere povere e di colore e pertanto considerate dallo stato federale inadatte alla maternità.
Non ci sono parole per descrivere l’orrore di questa operazione
Perché lo stato può decidere se una donna è più o meno adatta a diventare madre? Che diritto ha di imporre la sua scelta in maniera coercitiva e senza consenso?
È un capitolo oscuro della storia americana che, come leggerete nell’intervista, non è del tutto concluso.
Il caso vero delle sorelle Relf, difede dall’avvocato Levin, ebbe una grande risonanza mediatica all’epoca, ma poi la memoria di quel fatto è stata soffocata, nascosta.
Un orrore eliminato dalla storia.
Dolen Perkins Valdez, con cui ho chiacchierato per una buona mezz’ora su zoom, trovate l’intervista integrale a questo link.. , ha avuto il coraggio di trasformarla in un romanzo, mettendo al centro un personaggio di finzione, l’infermiera Civil che colpisce per la sua umanità.
Lei è una ragazza all’epoca dei fatti che non vuole altro che fare del bene e mostrare le sue abilità, ma si ritrova a compiere un errore fatale. Come si può convivere con questa colpa? È possibile trovare una forma di espiazione?
Con chi ha partecipato al bookclub ci vediamo Lunedì 30 alle 21 sul portale di Myflaneuse https://communities.kajabi.com/flaneuse/meetups (se vi siete iscritti alla challenge vi arriverà il link della diretta in automatico nella mail)
Intanto vi lascio all’intervista, che fa sperare che noi- lettori- possiamo fare almeno qualcosa contro queste atrocità del mondo e ci ricorda che ognuno di noi è responsabile nei confronti degli altri esseri umani.
Congratulazioni per il tuo libro, io e la mia community abbiamo amato profondamente il tuo romanzo, grazie alla tua protagonista Civili, che è una donna meravigliosa ma anche per il tema che hai voluto affrontare. Un tema difficile, terribile e molto poco conosciuto soprattutto in Italia. Perché per te era importante parlarne?
Posso dire che nemmeno in America questa storia è conosciuta, ed è uno dei motivi che mi hanno spinta a scrivere questo romanzo. Ho iniziato le ricerche per questo libro nel 2016, conoscevo qualcosa sul caso delle sorelle Relf (ndr: il caso vero che ha ispirato il libro), ma non sapevo che decine di migliaia di ragazze fossero state sterilizzate dal governo federale, quando ho iniziato a fare ricerche e mi sono accorta che è successo a così tante ragazze mi sono detta che dovevo scrivere questo libro.
Non appena ho iniziato a fare ricerche mi sono resa conto che la questione era stata trattata da tutti i maggiori giornali e televisioni, nel 1973 era una storia enorme, seguitissima, ma non si sa come, è stata poi cancellata dalla memoria.
Dietro a questa storia, lo dichiari anche alla fine del romanzo, c’è una storia vera vissuta da due ragazzine in Alabama agli inizio degli anni ’70…
La storia è ispirata a fatti reali che io ho cambiato un po’ nel romanzo. Sono partita dai giornali, che erano tantissimi, una volta che ho letto i giornali ho mandato una mail all’avvocato che si era occupato della faccenda, Joseph Levin che è ancora vivo. Gli ho scritto e gli ho detto “voglio venire a Montgomery, Alabama e ti voglio intervistare”. Lui mi ha accolta e offerto uno spazio di lavoro nell’ufficio che era completamente spoglio ma c’erano delle scatole. Io pensavo fossero pronte per un trasloco e invece mi ha detto “quelli sono i documenti del caso” che lui ha tirato fuori all’archivio dopo 45 anni e mi ha lasciato per leggerli e studiarli. Son stata con lui qualche giorno, intervistandolo e leggendo i file, alla fine lui mi ha detto, “hai parlato con l’assistente sociale?” perché all’epoca le ragazze erano seguite da assistenti sociali, e gli ho domandato “ma l’assistente sociale è viva?”, lo era, l’ho chiamata e siamo uscite a cena.
E invece l’infermiera, che ha ispirato la storia di Civil, chi era?
Non sono riuscita a trovare le infermiere, sapevo che alcune di loro erano malate o scomparse, ma ero molto curiosa di queste infermiere e di cosa poteva significare lavorare lì a quell’epoca, in quella clinica. E mi sono detta: l’avvocato può raccontare la sua versione dei fatti, l’assistente sociale lo può fare… e le infermiere? Come sono sopravvissute sapendo quello che succedeva in quelle cliniche? Allora ho voluto raccontarlo io.
Dove hai trovato ispirazione nel raccontare Civil? È una donna che cerca la sua indipendenza, ha un forte senso di giustizia, è una mamma anche se non lo è biologicamente… come l’hai creata?
Questa era la mia sfida come scrittrice, nelle prime bozze che ho scritto cercavo di dare una dimensione a questa donna affinché il lettore non la odiasse. Ho creato un personaggio che ha fatto degli errori, che era completamente naif e giovane e che aveva molte cose da imparare, ma che voleva fare la cosa giusta. L’ho raccontata in maniera tale che il lettore potesse identificarsi in lei. Tutti noi facciamo errori, tutti noi abbiamo dei rimpianti, ma questo non ci rende brutte persone e questo è quello che ho cercato di catturare di lei. È vissuta in un periodo terribile, ha fatto parte di qualcosa di tremendo, che non dimenticherà mai, ma ha cercato di fare del bene.
Una delle cose che si pensa leggendo il tuo libro è il legame con Il buio oltre la siepe, anche Civil ne parla quando nel racconto si rivolge a sua figlia (e dunque anche al lettore) dicendo “lo so cosa stai pensando, questa è l’ennesima storia del bianco che scende dal cielo e salva tutti i neri”.
In che modo questo libro è un tributo a Il buio oltre la siepe e in che modo invece racconta una storia diversa?
Io sono cresciuta in Tennesse in una piccola città del sud, e Il buio oltre la siepe era il libro della mia infanzia. L’ho letto tantissime volte e nonostante non volevo fare una copia del libro e non volevo in alcun modo paragonarmi, ho dovuto farlo, perché è un romanzo ambientato in una corte, c’è un caso giudiziario, c’è un avvocato bianco che risolve la situazione. Ne ero consapevole di inserirmi in un filone narrativo che si richiama a quel grande classico.
Però non volevo in alcun modo modificare la storia di Joseph Levin. Lui è ebreo, ha scelto di fare l’avvocato dopo un incidente che gli è accaduto all’università in Alabama. Nel movimento per i diritti civili americani c’è un capitolo in cui ebrei e neri collaborano, quindi ho deciso che il mio personaggio ispirato a lui non fosse troppo diverso perché volevo onorare la storia e onorare questa persona.
Nel romanzo ti confronti con tre tematiche che sono vissuta come uno stigma nella società americana degli anni ’70: la povertà, l’essere donna e l’essere di colore. Quanto queste tre caratteristiche erano uno stigma in Usa e quanto è cambiato dagli anni ’70?
In realtà Marta, gli stigma sono quattro, c’è anche la disabilità di India, che, anche nella realtà, non può parlare.
Il fatto è che queste ragazze in quel contesto storico e sociale non avevano alternative, le persone non potevano vederle per come fossero. Anche se avevano una bella famiglia e la sorella maggiore è riuscita a costruire una famiglia a sua volta nonostante non potesse avere figli.
Il tema è che gli ostacoli nella vita di queste ragazze, entrando in queste quattro categorie erano tantissime e penso che sia vero anche oggi . Anche oggi ci sono donne che vengono sterilizzate senza il loro consenso negli ospedali, donne immigrate che vengono sterilizzate senza il loro permesso… ci sono ancora molte donne vulnerabili che sono vittime di cose ingiuste e terribili e se c’è una cosa che questo libro può fare e far nascere una consapevolezza, soprattutto da parte delle donne che hanno risorse verso le proprie sorelle che non hanno queste risorse, che sono vulnerabili, disabili… a volte ci domandiamo di chi è la responsabilità di queti orrori? Ebbene, la responsabilità è anche nostra. È responsabilità di cittadini che si preoccupano degli altri dire “ehi, no, questo non va bene”. Come fai a dire che questa donna non può essere una madre? Come fai a sapere cosa ha bisogno un bambino?
Non c’è nessun’altro libro che ho scritto che mi ha resa così consapevole della forza dei lettori, noi siamo solo lettori di romanzi…ma possiamo cambiare le cose! E non mi ero mai sentita così. Ho sempre pensato che i romanzi fossero un modo per fuggire dalle nostre vite, un divertimento. Invece non è solo così. I romanzi possono essere entrambe le cose.